II mercato statunitense rappresenta il primo sbocco per le
esportazioni agroalimentari dell’Unione europea, il cui valore nel 2016 è
risultato pari a 130,7 miliardi di euro. Nello stesso anno, l’export di
prodotti agricoli e alimentari dell’UE verso gli USA ha raggiunto 20,6 miliardi
(16% sul totale delle vendite oltreconfine).
Rilevante è anche il ruolo che gli Stati Uniti rivestono nel
commercio agroalimentare dell’Italia, che vede nella superpotenza il terzo
Paese cliente, dopo Germania e Francia. Nel caso del Belpaese, a fronte di poco
più di 13 miliardi di esportazioni agroalimentari extra-UE, l’ammontare
destinato al mercato statunitense è di circa 3,8 miliardi, cifra che
rappresenta il 29% del totale.
In tale contesto, si può facilmente intuire quanto sia
significativo, per il comparto agroalimentare europeo (e in particolare
italiano), l’impatto delle politiche commerciali messe in atto dagli Stati
Uniti.
Le strategie degli USA in tema di commercio internazionale
Sotto tale profilo, l’ascesa alla Casa Bianca di Donald
Trump ha suscitato non poche preoccupazioni, soprattutto alla luce delle
posizioni protezionistiche espresse nel corso della campagna elettorale. A poco
meno di un anno dall’insediamento del magnate, è possibile iniziare a valutare
se, e in quale misura, i documenti ufficiali e i primi provvedimenti adottati
dalla nuova amministrazione siano coerenti con le linee strategiche
preannunciate.
In primo luogo appare confermata la preferenza per accordi
bilaterali, nei quali gli Usa possono far meglio valere la propria forza
negoziale rispetto a trattati multilaterali (come quelli promossi
dall’Organizzazione Mondiale del Commercio – OMC) che, coinvolgendo più Paesi,
sono governati da regole decisionali di tipo collegiale. In questa linea si
collocano il ritiro dall’accordo multilaterale Trans-Pacific Partnership (Tpp)
a suo tempo concluso dall’amministrazione Obama e la richiesta di rinegoziare
il North American Free Trade Agreement (Nafta).
Ma, soprattutto, sembra aver preso piede l’idea di difendere
i prodotti statunitensi con una strategia neo-protezionista (sintetizzata nello
slogan “America first”), basata sull’uso più aggressivo di alcuni strumenti
disponibili nell’ambito dell’OMC, quali i dazi anti-dumping e il meccanismo per
la risoluzione delle controversie.
Va in questa direzione l’esplicita messa sotto accusa dei
Paesi che registrano il maggiore surplus commerciale nei confronti degli Stati
Uniti: Cina, Germania, Giappone, Messico e Italia, verso i quali Trump ha più
volte minacciato azioni di ritorsione.
USA e politiche commerciali: quali impatti?
Sulla scorta di questi avvenimenti, l’Istituto di servizi
per il mercato agricolo alimentare (Ismea) ha realizzato uno studio che simula
gli effetti di alcuni ipotetici scenari derivanti da possibili azioni di
politica commerciale degli USA.
Il primo scenario prevede che gli Stati Uniti sfruttino i
margini di manovra disponibili all’interno dell’OMC per portare tutti i dazi al
livello massimo consentito dagli impegni sottoscritti. Ciò, di fatto, implica
l’abolizione di tutte le preferenze commerciali applicate dagli USA: sia quelle
bilaterali, nell’ambito dei 14 accordi di libero scambio in essere, sia quelle
unilaterali garantite ai Paesi in via di sviluppo. In questo scenario il danno
si concentrerebbe sui Paesi che attualmente hanno accordi preferenziali o di
libero scambio con gli USA, a partire da Messico e Canada.
Di contro, l’Unione europea, non godendo di accordi
preferenziali, potrebbe addirittura trarre vantaggio da tale situazione. Le
simulazioni dell’Ismea mostrano comunque un impatto modesto a causa del basso
livello dei dazi statunitensi, frutto di 70 anni di progressive
liberalizzazioni. Un dato di rilievo è che le esportazioni italiane
aumenterebbero più di quelle degli altri Paesi UE e quelle agroalimentari in
misura maggiore rispetto al settore manifatturiero.
Nel secondo scenario si ipotizza che gli USA concentrino la
loro ostilità commerciale sulla Cina, l’esportatore con il quale registrano il
maggior deficit commerciale. Ciò richiederebbe la rottura delle regole
multilaterali e dunque l’uscita dall’OMC, sia perché comporterebbe un aumento
dei dazi al di sopra del livello consolidato in ambito OMC, sia perché
l’incremento, colpendo un solo Paese, sarebbe discriminatorio e quindi
contrario alla clausola della nazione più favorita, su cui si fondano gli
accordi multilaterali.
L’aumento del protezionismo statunitense nei confronti della
Cina avrebbe conseguenze negative per entrambi i Paesi, anche se più forti per
l’economia cinese.
Gli effetti maggiori si verificherebbero nei settori non
agroalimentari, dove più si concentrano le esportazioni cinesi negli USA. In
questo scenario l’Italia registrerebbe un maggior aumento delle esportazioni,
più significativo rispetto a Francia e Germania, ma tale incremento
riguarderebbe solo in misura marginale il settore agroalimentare.
Si tratta in ogni caso – sottolinea l’Ismea – di uno
scenario politicamente irrealistico, in considerazione del fatto che una quota
consistente del debito statunitense è detenuta dalla Cina, cosa che costituisce
un ovvio deterrente per gli USA a intraprendere azioni unilaterali. Va inoltre
ricordato che il primo incontro, avvenuto lo scorso maggio, tra il presidente
Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping, non ha portato ad aumenti dei dazi
americani, bensì a concessioni in termini di accesso al mercato cinese della
carne bovina e dei servizi finanziari statunitensi. È questo un episodio
indicativo del fatto che il neo-protezionismo evocato da Trump, più che un
reale progetto di politica economica, sarebbe funzionale a negoziare una
maggiore apertura dei mercati esteri nei confronti delle esportazioni
americane.
Nel terzo scenario analizzato, il bersaglio della politica
commerciale statunitense diventerebbe l’Unione Europea, con conseguente
diminuzione delle esportazioni UE verso il mercato americano.
Rispetto allo scenario precedente, Unione europea e Cina si
scambierebbero le parti, poiché sarebbe proprio quest’ultima a occupare gli
spazi di mercato lasciati liberi dalle esportazioni europee.
La probabile reazione dell’UE, ipotizzata nell’ultimo
scenario, condurrebbe a una vera e propria guerra commerciale tra le due sponde
dell’Atlantico, con conseguenze molto negative per le esportazioni
statunitensi, in particolare per quanto riguarda il settore agroalimentare.
In definitiva, le analisi quantitative realizzate dall’Ismea
indicano che un’ipotetica rottura delle regole multilaterali da parte degli USA
(e una loro uscita dagli accordi esistenti), produrrebbe risultati molto meno
sconvolgenti di quanto si tenderebbe a supporre, almeno se ci si limita a
considerare il piano strettamente economico.
L’unico scenario che mostra effetti maggiormente consistenti
è, infatti, quello della guerra commerciale, che però è anche la situazione
nella quale gli Stati Uniti accuserebbero le perdite più elevate.
Fonte: Patrizia Tomasso
Osservatorio Agroalimentare
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