Se quest’estate sparissero dalle nostre tavole meloni,
pesche, albicocche e verdure? Sembra fantascienza, ma se tutti quelli che
lavorano nei campi per pochi euro, che lo fanno in nero, che sono in balia dei
caporali, si ribellassero improvvisamente a questo stato di cose, tanto di
quello che è così scontato non ci sarebbe più.
Il mondo dell’agricoltura, infatti, è continuamente
contrassegnato da diritti violati, negati, calpestati nonostante il suo ruolo
cruciale per l’economia dello Stato e per le vite dei cittadini.
Un mondo che sale agli onori della cronaca in particolare in
primavera e in estate, quando aumenta la richiesta di manodopera e le
condizioni climatiche non sono certo ottimali per lavorare ore e ore sotto il
sole.
O quando, come nel giugno scorso, muore un migrante. Magari
in una sparatoria, come nel caso di Soumalia Sacko, originario del Mali, un
attivista sindacale che difendeva i diritti dei braccianti nella piana di Gioia
Tauro.
Vuoi per queste vicende, vuoi per via del nuovo governo che
si è insediato da poco, si è tornato a parlare della legge sul caporalato approvata 2 anni fa.
Caporalato in Italia: cosa pensano Salvini e Di Maio
Una legge, secondo il ministro del Lavoro Luigi Di Maio,
«applicata male ed è quindi necessario avviare un tavolo di monitoraggio tra i
ministeri del Lavoro, i ministeri del Sud, il ministero delle Infrastrutture e
il minsitero dell’Agricoltura perché le leggi vigenti in materia possano
funzionare».
Così ha dichiarato dopo il suo recente incontro a Roma con i
rappresentanti dell’Unione sindacale di base sulla sua pagina Facebook.
Ma non è il solo: sulla necessità di modificare la legge
n.199/2016 sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il
ministero delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio.
Il primo ha parlato di «una legge che più che semplificare
complica», mentre il secondo ha espresso dubbi molto più forti: «Va decisamente
cambiata. Ha dei buchi, vogliamo capire i punti di debolezza e modificarli il
prima possibile. Non voglio che si parli di agricoltura italiana solo in
riferimento al caporalato».
Legge sul caporalato: perché associazioni e sindacati la
difendono
Non la pensano alla stessa maniera né le associazioni, né
tantomeno i sindacati.
«La legge 199 inasprisce il quadro normativo per il
contrasto al caporalato e allo sfruttamento del lavoro in agricoltura, ma
prevede anche azioni positive, come la Rete del lavoro agricolo di qualità e le
sue sezioni territoriali, che sono volte a prevenire tali fenomeni e a
prevedere collocamento e trasporto legale per le imprese e per i lavoratori
agricoli. Per questi aspetti, purtroppo, la legge risulta ancora inapplicata e
vanno recuperati i ritardi inspiegabilmente accumulati nell’ultimo anno».
Così si legge nella lettera contro lo sfruttamento del
lavoro e il caporalato che varie associazioni insieme ad alcuni sindacati hanno
inviato ai parlamentari. Tra i firmatari: Fabio Ciconte, direttore di Terra!
Onlus – Campagna #FilieraSporca; Ivana Galli, segretaria generale Flai Cgil
Nazionale; Stefano Mantegazza, segretario generale Uila-Uil Nazionale; Luigi
Ciotti, presidente di Libera, Rossella Miccio, presidente di Emergency, Roberto
Barbieri, direttore Oxfam Italia, Alberto Barbieri, direttore Med e tanti
altri.
Le dichiarazioni dei ministri, secondo i vari firmatari,
sono motivo di preoccupazione perché «aprono alla possibilità di modificare la
legge e, di conseguenza, svuotarla dei suoi contenuti più innovativi perché il
rischio è che la responsabilità in solido delle aziende, introdotta dalla legge
199/2016, venga sacrificata sull’altare della sburocratizzazione del settore».
La legge, secondo associazioni e sindacati, non deve essere
indebolita in alcun modo ma implementata con altre norme, estendendo le
responsabilità a tutta la filiera produttiva per garantire «piena traspararenza
in ogni passaggio» e mettere i consumatori «in condizioni di giocare un ruolo
attivo nello scoraggiare le aziende che non rientrano nella legalità».
E mentre associazioni e sindacati con questo documento chiedono
al Parlamento un impegno pubblico in difesa della legge sul caporalato, la
situazione è preoccupante.
Caporalato e agricoltura: la situazione in Italia
A denunciarla – ponendo l’accento su tutta la filiera, e in
particolare sul ruolo della grande distribuzione organizzata, che promuove la
concorrenza selvaggia sui prezzi con inevitabili conseguenze sulle condizioni
dei lavoratori agricoli – è Oxfam, con il suo rapporto Maturi per il
cambiamento – Porre fino allo sfruttamento nelle fieliere dei supermercati.
Il documento, pubblicato a giugno, a dire il vero analizza
la situazione mondiale – non è solo un problema italiano – ma Oxfam, insieme a
Terra!, all’Italia ha dedicato il caso-studio Sfruttati. Povertà e
disuguaglianza nelle filiere agricole in Italia.
430 mila i lavoratori irregolari
Dodici pagine in cui si analizza lo sfruttamento sotto più
punti di vista. Intanto partendo dai numeri:
430 mila i lavoratori irregolari, di cui 100 mila vitittime di
sfruttamento e oltre 4 su 10 braccianti sono donne.
Donne e migranti i più sfruttati. I casi a Ragusa, Sicilia
Donne e migranti sono i più vulnerabili e colpiti dal
sistema. Le prime, sia italiane sia straniere, sono impiegate soprattutto nelle
filiere ortofrutticole in settori di frutta delicati come l’uva e le fragole.
«Vengono pagate il 20-30% in meno in meno rispetto agli
uomini e sono soggette spesso a ricatti e abusi sessuali», si legge nel
rapporto. «Ne è testimonianza lo sproporzionato numero di aborti delle ragazze
romene registratosi negli ospedali della provincia siciliana di Ragusa: 119 nel
2015 e 111 in 2016, pari al 20% degli aborti nell’intera provincia, la terza
più grande in Europa per produzione di ortaggi, dove oltre 2.000 donne vivono
in condizioni di grave sfruttamento». Abusi che è difficile far emergere:
«Negli ultimi due anni è stato estremamente difficile
trovare un’alternativa, un lavoro decente. È per questo che non posso
permettermi di denunciare gli abusi», ha dichiarato una donna romena in Sicilia
a Oxfam.
Lo sfruttamento degli immigrati in Italia
Quanto ai migranti irregolari vengono prevalentemente
dall’Africa e rappresentano la più ampia sacca di sfruttamento di manodopera.
Su questo sicuramente influisce la mancanza di permesso di soggiorno che non ne
permette l’assunzione, ma come Oxfam rileva, non basta esserne in possesso per
essere davvero tutelati e rispettati.
È il caso, per esempio, di un crescente numero di lavoratori
provenienti da paesi europei come Romania e Bulgaria, «preferiti dai datori di
lavoro che sfruttano il loro diritto – e regolare permesso – di circolare e
lavorare liberamente nei paesi dell’Unione europea, senza incorrere nelle
sanzioni previste per l’impiego di stranieri extracomunitari».
La situazione non migliora per richiedenti asilo e rifugiati
che sono inseriti nei sistemi di accoglienza e protezione. Vengono «pagati con
salari ancora più bassi solo in virtù del fatto che lo Stato già fornisce loro
vitto e alloggio».
Anche se è un reato, il caporalato «conviene»
Un ampio paragrafo dello studio è poi dedicato nello
specifico al caporalato, che, stando alle ispezioni condotte dalla Flai-Cgil,
su 8.862 aziende agricole si verifica in 713 casi.
Il caporalato conviene a tutti e purtroppo in condizioni di
particolare isolamento come nei contesti rurali, i caporali si sostituiscono a
uffici di collocamento e hanno anche una loro “autorevolezza”: sono persone di
riferimento nelle comunità per far ottenere il lavoro.
Una intermediazione illegale che però è riconosciuta: il
caporale che lucra su chi ha bisogno è il trait d’union tra le aziende agricole
che hanno bisogno di manodopera in breve tempo e chi ha bisogno di lavorare per
vivere.
Inoltre, è favorito dalla presenza di organizzazioni
criminali.
Un circolo vizioso, che ovviamente ha la sua base nella
fragilità e ricattabilità di chi viene reclutato e che ancora le legge sul
caporalato non è riuscito a spezzare.
Lotta al caporalato in Puglia, provincia di Foggia
Qualche notizie positiva, tuttavia, c’è. Ha preso il via
qualche giorno fa “IN CAMPO! Senza caporale”, un progetto di inclusione sociale
attraverso l’agricoltura avviato dall’associazione Terra! in una zona della
Puglia, la Capitanata, che è fortemente a rischio.
Obiettivo: creare un network di aziende capace d’accogliere
migranti e sviluppare con loro filiere trasparenti di produzione. Questo grazie
a sei borse lavoro che garantiranno un tirocinio retribuito di 10 mesi all’interno di aziende agricole.
Autore: Cristina Maccarone
Fonte: Osservatorio dei Diritti
Nessun commento:
Posta un commento