Innovazione varietale, cambiamento delle logiche
imprenditoriali, nuove generazioni di agronomi, accresciute professionalità
tecnico-produttive, nuovi investimenti, un indotto strutturato e competitivo:
questi sono i punti di forza dell’uva da tavola italiana, che sta facendo molti
passi avanti nella direzione di un futuro sostenibile sui mercati globali.
Molti di questi fattori sono strettamente connessi. Lo
spostamento graduale dal commercio alla produzione, che è iniziato seriamente
solo qualche anno fa, sta vedendo i grandi operatori allontanarsi sempre più
dalla tradizionale modalità di acquisto in campagna di partite “a blocco” o a
peso, dove il rapporto con la produzione è basato sulla contrapposizione, sulla
speculazione di breve termine, su contratti che spesso valgono solo la carta
sulla quale sono scritti. L’acquisto in campagna, mentre per decenni ha
arricchito i commercianti e gli esportatori, sta diventando per gli stessi una
gabbia che ne limita la capacità di programmare, e ne mina la competitività
quando i prezzi si devono basare non sui costi di produzione ma sulla
speculazione degli acquisti alla produzione.
Gli investimenti nella produzione in proprio degli operatori
medi e grandi stanno dando frutti fondamentali per lo sviluppo di lungo termine
del settore: sono 14 gli operatori italiani che hanno stipulato accordi con i
grandi costitutori varietali globali (Sun World, IFG, SNFL, AVI) e che hanno in
produzione nel 2018 una superficie di 1000 ettari di nuove varietà di uve senza
semi sottoposte a licenza, escludendo quindi le varietà libere come Crimson e
Regal Seedless, e la varietà Superior Seedless – Sugraone che era stata
piantata con la convinzione che fosse una varietà senza restrizioni.
Si tratta di oltre 50 varietà senza semi (segmentate per
periodo di maturazione e colore) che eccellono per varie caratteristiche:
produttività per ettaro, capacità di sviluppare pienamente il colore
desiderato, gusto che incontra le esigenze dei mercati, semplificazione delle
tecniche agronomiche, stagionalità estesa specialmente nel periodo tardivo (da
ottobre a dicembre). Si stima che l’80% dei nuovi impianti di seedless sia
costituito da varietà con licenza, mentre sta finalmente rallentando
l’impetuoso sviluppo di Regal Seedless, varietà interessante per i produttori
ma posizionata come una seconda scelta sui mercati.
L’interesse per le varietà internazionali ha innescato un
circolo virtuoso che ha rivitalizzato i programmi di sviluppo varietali
autoctoni. Tre iniziative private hanno recentemente raccolto il lavoro di
alcuni programmi di ricerca attivi ma che funzionavano a regime ridotto. Si
sono così creati tre poli: Grape & Grape, fondata nel 2016 da 7 membri e
che ha già 252 ettari in produzione con le tre varietà Luisa, Fiammetta e Apulia,
IVC (Italian Variety Club) fondato nel 2015 e che con un budget annuale di
300.000 euro sta concentrando la ricerca su varietà ottenuti da incroci con
varietà autoctone e che hanno lunga familiarità nel territorio pugliese, e
Nuvaut, l’iniziativa privata che nel 2018 ha rilevato 36 varietà sviluppate nel
corso degli anni dal centro di ricerca pubblico CRA.
L’entusiasmo e le competenze di una nuova leva di agronomi
stanno consolidando il processo di introduzione delle nuove varietà sui
differenti areali di produzione pugliesi, rendendo più veloce e solido il
processo di innovazione. Questo adattamento negli anni passati era stato spesso
difficoltoso, arrivando anche a mettere in dubbio la validità di uve come
Sugraone per le quali non si riuscivano a trovare le tecniche agronomiche
adatte per produrre risultati interessanti.
Rimangono alcune zone d’ombra nel nuovo sentiero di sviluppo
dell’uva da tavola italiana, tra cui la refrattarietà della grande
distribuzione italiana all’introduzione delle varietà senza semi, i costi di
produzione, lavorazione e logistici spesso superiori a quelli dei concorrenti
diretti (Spagna e Grecia), l’incomprensibile ritardo della Sicilia nello
sviluppo varietale.
Ma la strada intrapresa dagli imprenditori pugliesi è
destinata a dare i suoi frutti sui mercati nazionali ed europei, aprendo la
strada ai mercati globali che potrebbero sviluppare presto tutta l’enorme
potenzialità nascosta dietro all’insignificante 1% che rappresentano adesso le
vendite sui mercati di oltremare sul totale delle vendite italiane.
Autore: Thomas Drahorad
Fonte: Corriere Ortofrutticolo
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