Resta alto l’interesse per la coltivazione della canapa, una
pianta dai molteplici utilizzi che sta raccogliendo molto favore tra gli
agricoltori italiani, sullo slancio della pubblicazione della legge 242 del 2
dicembre 2016, n. 242, entrata in vigore il 14 gennaio 2017, dedicata, appunto,
alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa
(Cannabis sativa, L.).
Grazie alla depenalizzazione dell’attività di coltivazione
(a fronte dell’esclusivo impiego di alcune varietà autorizzate), infatti, negli
ultimi due anni si è assistito ad un vero e proprio boom. A livello nazionale –
secondo stime Coldiretti – sarebbero, infatti, quasi 4 mila gli ettari
coltivati, con destinazioni del prodotto caratterizzate da esperienze
innovative: si va dagli eco-mattoni isolanti all’olio antinfiammatorio, dalle
bioplastiche ai tessuti, ottimi sia per l’abbigliamento che per l’arredamento,
fino ad arrivare a semi, fiori per infusi, pasta, biscotti e cosmetici.
Per la coltivazione e vendita di piante, fiori e semi a
basso contenuto di principio psicotropo (Thc) si stima, a livello nazionale, un
giro d’affari potenziale di oltre 40 milioni di euro, ma la grande attenzione
che questa pianta sta riscuotendo non è una novità assoluta in Italia, visto
che fino agli anni ’40, con quasi 100 mila ettari, il nostro Paese era il
secondo maggior produttore di canapa al mondo.
Tuttavia, nonostante l’opportunità di rilancio di questa
coltivazione (sancita dalla pubblicazione della legge 242/2016), restano ancora
molti i problemi, per lo più legati ad alcune incertezze sul piano delle
interpretazioni normative. In merito a questo aspetto, le imprese agricole
attendono ancora chiarimenti, ad esempio, in merito ai i livelli massimi di
residui di THC ammessi negli alimenti, che avrebbero da tempo essere oggetto di
uno specifico decreto del Ministero della Salute. La legge 242/2016 aveva
stabilito che il decreto avrebbe dovuto essere emanato entro il mese di giugno
dello scorso anno
ed il ritardo accumulato sta creando problemi anche nell’ambito
dei rapporti commerciali con altri Paesi confinanti (vedi Svizzera ed Austria)
che, invece, hanno già adottato norme in questo senso.
Nel frattempo, a seguito della proliferazione incontrollata
di prodotti di dubbia provenienza e di formule di commercializzazione che hanno
approfittato proprio di lacune normative e che hanno portato a numerosi
sequestri da parte delle Forze dell’ordine, diversi pronunciamenti
istituzionali hanno cercato di chiarire alcuni aspetti, come, ad esempio, le
modalità consentite di produzione e commercializzazione delle infiorescenze.
Tra questi spicca quello del Ministero delle Politiche
agricole che, attraverso la circolare del 22 maggio 2018 ha confermato che la
coltivazione di Cannabis sativa è consentita senza necessità di autorizzazione
(richiesta invece per la canapa ad alto contenuto di
Delta-9-tetraidrocannabinolo e Delta-8-trans-tetraidoccabiolo anche detti THC),
purché siano rispettati i limiti di THC riportati all’art. 4, comma 5, legge n.
242 del 2016, ossia il limite totale dello 0,2%, in rapporto peso-peso, con
l’obbligo di conservare per almeno dodici mesi i cartellini delle sementi
utilizzate.
Sempre la stessa circolare ha, inoltre, chiarito,
richiamando il Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 17 dicembre 2013, che l’importazione di cannabis è ammessa solo
per i semi di varietà di canapa destinati alla semina di cui al codice NC ex
1207 99 20 (con una deroga esclusivamente riservata ad importatori riconosciuti
dallo Stato membro in modo da assicurare che non siano destinati alla semina),
ribadendo, inoltre, che per la canapa non è consentita l’importazione di
talee/piantine, né di fiori.
Un ulteriore chiarimento, ancora, viene fornito su un
aspetto di grande rilievo: “con specifico riguardo alle infiorescenze della
canapa” – recita la circolare ministeriale - si precisa che queste, pur non
essendo citate espressamente dalla legge n. 242 del 2016 né tra le finalità
della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito dell’articolo
2, comma 2, lettera g), rubricato, liceità della coltivazione, ossia
nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti
derivino da una delle varietà ammesse, iscritte nel Catalogo comune delle
varietà delle specie di piante agricole, il cui contenuto complessivo di THC
della coltivazione non superi i livelli stabiliti dalla normativa, e sempre che
il prodotto non contenga sostanze dichiarate dannose per la salute dalle
Istituzioni competenti”.
La circolare del Mipaaft si è dimostrata utile e necessaria,
quindi, per comprendere i reali possibili utilizzi della canapa coltivata
nell’ambito del florovivaismo in modo da attuare pienamente la legge nazionale,
con la finalità di agevolare anche l’attività di controllo e repressione da
parte degli organi preposti.
Ai fini di un più completo indirizzo degli operatori
interessati, tuttavia, va anche citato il più recente pronunciamento del
Ministero dell’Interno che, sempre con l’intento di sensibilizzare e meglio
orientare l’attività dei Servizi anti droga, mette in guardia gli operatori
della filiera sulla necessità di commercializzare la cannabis sostanzialmente
dichiarando le modalità di impiego e rispettando la normativa di riferimento
(connessa all’uso dichiarato in etichetta), relativa al limite dello 0,2% di
THC nel prodotto finale.
Secondo il Ministero dell’Interno, infatti, il limite dello
0,6%, così come riportato nella legge 242/2016, va inteso come esclusivamente
riferito alla “tolleranza” riservata alla fase di coltivazione (ai fini
dell’esclusione delle responsabilità dirette dell’imprenditore agricolo) e non
può in nessun caso essere esteso, in termini di responsabilità, al livello del
grossista o del rivenditore quando l’uso proposto sia quello “voluttuario” o
“ricreazionale”. Il testo della citata circolare del 31 luglio u.s., infatti
recita “Se la disciplina che promuove la filiera della canapa industriale
lascia dunque impregiudicata la possibilità di utilizzare le piante con tenore
fino allo 0,6% per usi nei quali non viene in evidenza il contenuto del
principio attivo ad azione stupefacente del raccolto, la stessa opportunità non
dovrebbe essere, invece, invocata dal negoziante che mette in vendita le
infiorescenze, gli estratti e le resine destinate ad impieghi – come detto non
espressamente indicati nella predetta elencaz
ione - che valorizzano esclusivamente il tenore di principio
attivo per finalità di consumo personale (uso voluttuario o ricreazionale)”.
Dagli esempi citati emerge, comunque, la necessità di
ulteriori chiarimenti in merito alle prospettive di questa interessante
filiera. La coltura della canapa in Italia, infatti, potrebbe rappresentare una
valida alternativa alle coltivazioni tradizionali, sia sotto il profilo
economico-occupazionale, sia sotto quello ambientale. Da queste considerazioni
ed analizzando i dati di prima diffusione emerge, dunque, la necessità di
favorire lo sviluppo di una filiera che coinvolga tutte le componenti del
processo, dalla produzione alla trasformazione e distribuzione, anche al fine
di evitare surplus produttivi determinati dalla mancata programmazione, così
come resta indispensabile, da parte del legislatore e delle Autorità
competenti, un intervento tempestivo per superare i residui dubbi
interpretativi, istruendo gli organi di controllo e polizia affinché abbiano
gli strumenti per distinguere gli investimenti legittimi ed eliminare dal
mercato tutto quel prodotto illegale che, grazie proprio ad alcune smagliature
della legge, a tutt’oggi, facendo la fortuna di alcuni
spregiudicati rischiando, nel contempo, di compromettere gli sforzi di molti
operatori onesti.
Con l’uscita della legge 242/2016, infatti, molti imprenditori
agricoli hanno ritenuto di poter investire concretamente su questa coltura, ma
ora serve il sostegno alla nascita di una vera e propria filiera della canapa
italiana. In questo campo, tra le numerose esperienze si potrebbe citare, ad
esempio, quella dell’azienda Eatruscan che ad agosto a Rimini ha inaugurato un
impianto di trasformazione tra i più grandi ed avanzati di Europa,
caratterizzato da un basso impatto energetico (grazie alla presenza del
fotovoltaico), dalla disponibilità di una grande macchina per la raccolta della
pianta, di un essiccatoio e di moderne attrezzature per la trasformazione della
canapa. L’impianto ha una capacità di lavorazione di 500 tonnellate di prodotto
annue ed è finalizzato all’immissione in commercio di semi, olio, farina,
infiorescenze taglio tisana e cannabinoidi non THC con tracciabilità assoluta
dei contenuti di principio attivo, secondo i requisiti previsti dalla normativa
vigente.
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