I
Distretti del Cibo sono la forma rinnovata dei distretti in agricoltura che il
legislatore nazionale ha proposto con la legge di bilancio 2018. Dunque, sono
l’ultima generazione di quella grande famiglia di distretti che si sono diffusi
nell’ultimo ventennio e sono stati posti per rinnovarne le finalità,
allineandole con i nuovi obiettivi della PAC, di Cork 2.0 e delle politiche per
l’ambiente e il cambiamento climatico.
I
distretti in agricoltura nascono come uno strumento di politica economica
finalizzato a organizzare e sostenere i sistemi produttivi agricoli e
agroalimentari locali e promuovere lo sviluppo delle Comunità delle aree
rurali, la cui identità storica e culturale diventa tratto distintivo ed
elemento da valorizzare, unitamente allo specifico paniere di prodotti tipici e
a denominazione.
Pur
nell’articolata varietà di modelli che le Regioni hanno adottato, tali
distretti operano attraverso lo sviluppo di progettazioni integrate del territorio
distrettuale, che vedano coinvolte in modo sinergico iniziative sia private che
pubbliche. Perciò il distretto è da considerarsi anche metodo di governance dei
sistemi rurali, basato sul partenariato pubblico privato locale e sulla
governance multilivello. Dunque i distretti rappresentano una forma compiuta di
applicazione del principio di sussidiarietà in ambito economico, con effetti di
riequilibrio territoriale e impatti sociali rilevanti, quali il contrasto allo
spopolamento di tali zone.
All’atto
pratico, sono strumenti complessi da utilizzare, e tuttavia si può sostenere
che alla base del loro perdurante successo stia proprio la molteplicità di
obiettivi privati e collettivi che consentono di perseguire in un quadro
progettuale e programmatico unitario e integrato.
2. Una storia ventennale che guarda avanti
La
storia dei distretti in agricoltura è ultraventennale. In questo lungo percorso
i distretti hanno avuto estimatori e detrattori. Né gli uni, né gli altri
possono poggiare la propria tifoseria su dei numeri perché questo strumento –
al pari di tanti altri, purtroppo - non
è mai stato oggetto di un sistematico monitoraggio né a livello delle Regioni,
né tantomeno nazionale. Nondimeno, i distretti hanno avuto una grande
diffusione e oggi soltanto Val d’Aosta, Emilia Romagna, Umbria, Molise, e
Provincia Autonoma di Bolzano non hanno adottato provvedimenti regolatori al
riguardo.
Nel
contrappunto dei successivi interventi del legislatore nazionale, l’azione
delle Regioni non è stata di mero recepimento, al contrario vi è stato uno
sforzo di adattamento dello strumento ai propri contesti produttivi, economici,
ambientali e sociali, creando anche nuove tipologie di distretti, ad esempio i
distretti di filiera definiti dalla legge regionale Lombarda. Nel complesso,
nel 2013 – unica rilevazione svolta a livello nazionale - sono stati contati oltre 80 distretti
riconosciuti in Italia.
Si
possono distinguere quattro periodi. Nel primo, coincidente con le nascenti
disposizioni sui distretti industriali, il legislatore nazionale poneva i
distretti come sistemi produttivi locali e stabiliva che la loro governance
fosse affidata a consorzi pubblico-privati. Diverse Regioni (Piemonte, Friuli
Venezia Giulia, Marche, Abruzzi, Campania e Basilicata) tra il 1996 ed il 2001
hanno stabilito proprie norme per riconoscere distretti agroindustriali.
Il
secondo periodo prende avvio dal 2001 in attuazione della Legge di Orientamento
che definiva i Distretti Rurali e Distretti Agroalimentari di Qualità – insieme
ad altri strumenti - per rafforzare la competitività delle imprese agricole e
lo sviluppo delle aree rurali. Numerose Regioni (Piemonte, Liguria, Veneto,
Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, Sardegna e la
Provincia Autonoma di Trento) hanno adottato proprie leggi regionali tra il
2003 ed il 2016 e riconosciuto numerosi distretti della tipologia Rurale e
Agroalimentare di Qualità.
Nel
2006, il legislatore nazionale è di nuovo intervenuto sulla materia,
introducendo la nozione di “distretti produttivi”, che enfatizzavano l’aspetto
aggregativo tra le imprese, privilegiando l’alto potenziale innovativo del
distretto. Lombardia, Veneto, Basilicata, Puglia e Sicilia hanno modellato le
proprie leggi regionali in attuazione di tale norma, riconoscendone numerosi.
La sola Lombardia conta oggi 19 distretti attivi.
Se la
metodologia distrettuale nella sostanza è stata mantenuta pressoché identica
nella gran parte delle Regioni, dal punto di vista finanziario sono stati
definiti e utilizzati strumenti e Fondi diversi per supportare lo sviluppo dei
progetti distrettuali.
Nel
periodo c’è stata anche una variazione qualitativa nell’interpretazione dello
strumento distrettuale che è stato adattato a sostenere le qualità di salubrità
dei prodotti agroalimentari come pure dei territori di produzione, attraverso i
biodistretti e i distretti biologici. Anche in questo caso l’impulso
legislativo è partito da esperienze concrete, per cercare di approdare, dopo un
lungo percorso, a un quadro legislativo organico in materia di produzioni
biologiche, che però non si è completato nella precedente legislatura, salvo
ricevere una risposta parziale proprio dalle disposizioni sui Distretti del
Cibo.
Fino al
2016 non è stato possibile utilizzare il contratto di distretto, lo strumento
tipico previsto dal legislatore nazionale ma poi non finanziato e non regolato.
Per la prima volta il MIPAAF lo ha reso operativo nel 2017, disciplinandolo
insieme ai già sperimentati contratti di filiera.
Nel
2017, avvio del quarto periodo, si ha un intervento che vuole essere al tempo
stesso di riordino e di rilancio della materia, sostituendo e integrando la
legge del 2001 con i Distretti del Cibo.
3. Le novità: una grande famiglia con nuove
finalità e nuovi strumenti
Attualmente
sotto la dicitura “Distretti del Cibo”, accanto ai Distretti Rurali e Distretti
Agroalimentari di Qualità ricadono altre sei tipologie di distretti, che
ricomprendono tutte quelle già stabilite e sperimentate dalle Regioni. Tra
queste si ritrovano anche distretti in area urbana e periurbana, distretti di
filiera e agroindustriali, distretti relativi ad aree e produzioni biologiche.
I
Distretti del Cibo sono finalizzati a raggiungere fini molteplici che integrano
i precedenti e li riallineano con le correnti finalità delle politiche unionali
e nazionali: promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l'inclusione
sociale, favorire l'integrazione di attività caratterizzate da prossimità
territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l'impatto ambientale
delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e
il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari.
La
nuova impostazione è importante per due aspetti. Da un lato, si riconosce
all’agricoltura un ruolo specifico nel passaggio al nuovo paradigma economico
di economia circolare e bio-based, definendo uno specifico strumento per
attuarlo sui territori rurali affinché possano diventare protagonisti di
processi innovativi che non dovrebbero essere riservati solo ad altri ambiti e
territori produttivi.
Dall’altro
lato, le si forniscono mezzi mai approntati prima su scala nazionale. Infatti,
il contratto di distretto è posto come strumento finanziario stabile e costante
per sostenere i Distretti del Cibo. La legge di bilancio 2018 stanziava cifre
modeste in quantità ma rilevanti per la loro novità: 5 milioni di euro per
l’anno 2018 e di 10 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019. Merita di
essere menzionato che un capitolo specifico è stato dedicato ai territori
pugliesi colpiti da Xylella fastidiosa. Per realizzare un programma di
rigenerazione dell'agricoltura nei territori colpiti - anche attraverso il
recupero di colture storiche di qualità - sono stati stanziati un milione di
euro per l’anno 2018, 2 milioni di euro per l’anno 2019 e 2 milioni di euro per
l’anno 2020 da destinare al finanziamento di contratti di distretto per i
territori danneggiati dal batterio
Consapevoli
dei limiti delle precedenti esperienze, è stata introdotta un’ulteriore novità,
rappresentata dall’istituzione presso il MIPAAF di un Registro Nazionale dei
Distretti del Cibo, che dovrebbe costituire la base primaria per colmare quella
profonda lacuna informativa che finora li ha caratterizzati, e avviare –
auspicabilmente – un sistema affidabile e omogeneo di monitoraggio. Spetta a
ciascuna Regione o Provincia Autonoma disciplinare e riconoscere autonomamente
i Distretti del Cibo e iscriverli nel Registro nazionale.
4. Le aspettative
Nel
frattempo si è avviata una nuova legislatura. Su questa materia, da molte parti
è atteso un segno di continuità, anzitutto nel mantenere - se non incrementare
- le risorse già assegnate. Anche il contratto di distretto dovrebbe
auspicabilmente trovare una disciplina autonoma, capace di semplificare quella
assai complessa che finora ha regolato i contratti di filiera. Nella nuova
formulazione, la regolazione dei contratti di distretto dovrebbe riuscire a
trovare la giusta chiave per diventare uno strumento a geometria variabile,
capace di adattarsi alle diverse taglie territoriali ed economiche che gli
ormai numerosi distretti incarnano nelle aree rurali italiane.
Fonte:
Accademia dei Georgofili
Autore:
Daniela Toccaceli
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