Il cambiamento non riguarda solo il dicastero: al via
progetti nel Lazio, a Milano e nel resto d'Italia. E poi c’è chi vive cercando
di eliminare la plastica dagli oceani, come il 24enne olandese Boyan Slat che
ha deciso di sfidare la Great Pacific Garbage Patch, l'isola di rifiuti tra
Hawaii e California e grande il triplo della Francia.
La rivoluzione plastic free è in atto: dalle sfide
istituzionali ai progressi della scienza. Da oggi il ministero dell’Ambiente
mette al bando la plastica, come aveva annunciato lo stesso ministro Sergio
Costa il 5 giugno, in occasione della Giornata internazionale dell’Ambiente. Ma
il cambiamento non riguarda solo il dicastero, perché sono centinaia le
adesioni. La Commissione Cultura alla Regione Lazio ha presentato a luglio il piano ‘Lazio Plastic Free’. Anche
il Consiglio comunale di Milano preme sull’acceleratore per attuare la
rivoluzione. E mentre tutto ciò avviene ci sono ricercatori che nei laboratori
delle università più prestigiose al mondo sono al lavoro per cercare di trovare
una soluzione al problema: ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti
plastici vengono riversati negli oceani. E poi c’è chi vive cercando di
eliminare la plastica dagli oceani. Basti pensare alla storia di Boyan Slat, ad
appena 24 anni, a capo di un’impresa storica alla quale partecipano anche
italiani.
Da oggi la rivoluzione al ministero
Già nei giorni scorsi, nella sede del ministero
dell’Ambiente di via Cristoforo Colombo, a Roma, si è proceduto a installare
dispense di acqua alla spina e sostituire i prodotti all’interno dei
distributori. Lo stesso ministro, in un post su Facebook, ha ricordato che sono
in arrivo due leggi per ridurre la plastica monouso e gli imballaggi. La prima,
attesa entro una decina di giorni, dovrebbe chiamarsi ‘SalvAmare’ e anticipa la
direttiva europea contro gli oggetti monouso. La seconda legge per cui, ha
spiegato Costa, sono già stati trovati i fondi prevede agevolazioni sia per gli
imprenditori che riducono gli imballaggi, sia per i consumatori che comprano
prodotti più sostenibili. Ma la rivoluzione non si ferma al ministero.
Centinaia le adesioni
“Da quando abbiamo lanciato la sfida, sono arrivate
centinaia di adesioni – ha dichiarato il ministro – Comuni, regioni,
università, prefetture, associazioni, catene di supermercati, piccole isole”. A
luglio il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha presentato il
piano ‘Lazio Plastic Free’, progetto in cinque punti per ridurre l’uso della
plastica. Le parole chiave sono riduzione, recupero, riciclo, rigenerazione e
riuso. Ad agosto la commissione Cultura alla Camera ha aderito alla campagna.
Ad annunciarlo è stato Luigi Gallo, deputato del Movimento 5 Stelle e
presidente della commissione cultura della Camera dei Deputati: “Siamo la prima
commissione paper free e plastic free perché abbiamo la responsabilità di
accelerare e accompagnare una rivoluzione culturale”. Il primo passo è stato
quello di sostituire la fornitura di bottigliette di plastica per i deputati
con quelle in vetro.
A questo proposito si muove anche Milano. La plastica usa e
getta non dovrebbe scomparire solo dagli uffici dell’amministrazione e delle
sue partecipate, ma il Consiglio comunale si è posto un obiettivo più
ambizioso. Come scrive Repubblica, in un ordine del giorno bipartisan appena
depositato (primi firmatari sono Carlo Monguzzi del Pd e Patrizia Bedori di
M5S, ma il testo è stato siglato anche dagli altri gruppi), l’aula chiede al
sindaco e alla giunta che tutta Milano diventi plastic free con un programma
che bandisca l’uso della plastica in città, a favore di packaging
biodegradabili. Una settimana fa è stata approvata all’unanimità dal Consiglio
comunale anche la mozione “Fiumicino Comune Plastic Free”, a prima firma del
capogruppo del Movimento 5 Stelle, Ezio Pietrosanti. Così è accaduto ad Ancona,
a Follonica (Grosseto) e a Pachino (Palermo), dove il sindaco Roberto Bruno ha
firmato un’ordinanza vietando, dal 1 novembre 2018, l’uso e la
commercializzazione di contenitori, di stoviglie monouso e altro materiale non biodegradabile.
La membrana killer
Ma c’è un altro modo per combattere i rifiuti. Perché
accanto a chi si occupa di prevenzione c’è anche chi si impegna per risolvere
il problema delle tonnellate di rifiuti che, purtroppo, sono già nell’ambiente:
ogni chilometro quadrato di oceano contiene qualcosa come 63mila frammenti
plastici che vengono ingeriti dagli animali, finendo nella catena alimentare. A
dirlo sono i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Sono diversi, in
tutto il mondo, i progetti e gli esperimenti avviati per risolvere il problema.
È nato in Svezia il progetto Claim, che punta a eliminare queste microplastiche
con una membrana attivata dalla luce solare. Un gruppo di scienziati del Kth
Royal Institute of Technology ha realizzato l’innovativo sistema partendo dal
presupposto che l’esposizione alla luce solare può degradare la plastica in
elementi innocui. Questo processo, chiamato ossidazione fotocatalitica, può
tuttavia richiedere anni. Ecco perché gli scienziati hanno cercato un modo per
accelerare il tutto, creando una nuova membrana fotocatalitica da aggiungere ai
sistemi filtranti delle acque reflue. Il sistema è costituito da nanofili
rivestiti in un materiale semiconduttore che può assorbire la luce visibile e
utilizzarla per distruggere le particelle di plastica.
Chi (o cosa) mangerà la plastica
La scorsa primavera sono stati invece divulgati i risultati
di uno studio condotto da ricercatori della Portsmouth University e dal
Laboratorio nazionale per le energie rinnovabili del ministero dell’Energia
statunitense, che hanno scoperto un enzima mutante in grado di “mangiare” i
rifiuti in plastica. Il risultato è arrivato in maniera accidentale durante gli
esperimenti sulla struttura cristallina del PETase, l’enzima che aiuta il
microbo giapponese Ideonella sakaiensis a distruggere le plastiche. Il microbo
è stato scoperto nel 2016 da un gruppo di studiosi giapponesi nel terreno di
una fabbrica per il riciclo di materie prime: si era adattato a mangiare la
plastica presente nel suo habitat e aveva sviluppato un enzima specifico. Gli
scienziati hanno sfruttato i raggi per creare un modello 3D ad altissima
risoluzione dell’enzima, con l’obiettivo di valutarne l’efficienza. Dai dati
raccolti è emerso non solo che le prestazioni potevano migliorare, ma che si
poteva arrivare a un’efficienza venti volte maggiore rispetto a quella
iniziale.
Anche un fungo, l’Aspergillus tubingensis, sarebbe in grado
di mangiare i rifiuti di plastica. Lo hanno confermato di recente gli
scienziati del Royal Botanic Gardens Kew di Londra che, nel rapporto State of
the World’s Fungi 2018, descrivono le sue proprietà. L’organismo è stato
isolato per la prima volta nella spazzatura di una discarica di Islamabad, in
Pakistan. Studiandolo in laboratorio, gli scienziati dell’Accademia delle
Scienze cinese e dell’Università di Agricoltura dello Yunnan (Cina) hanno
potuto osservare come l’apparato vegetativo del fungo aveva colonizzato un
foglio di materiale plastico in poliuretano poliestere, causando la
degradazione della sua superficie. In due mesi di esperimento, il fungo aveva
praticamente ridotto la lastra in poltiglia.
La larva che smaltisce la plastica: cervelli italiani dietro
la scoperta
E ci sono intelligenze italiane dietro la scoperta di un
bruco, comunemente usato come esca dai pescatori, capace di smaltire in maniera
del tutto naturale il polietilene, una delle plastiche più utilizzate e diffuse
anche nelle buste shopper. Si tratta della larva della tarma della cera, un
parassita degli alveari, diventato famoso grazie a una ricerca coordinata
dall’università britannica di Cambridge e condotta in collaborazione con
l’Istituto spagnolo di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria. La
scoperta, tra l’altro, è avvenuta per caso proprio grazie a un’osservazione della
biologa e apicultrice Federica Bertocchini che lavorava per lo Csic. Mentre
stava rimuovendo i parassiti dalle sue arnie, li aveva messi temporaneamente in
una busta di plastica, che in poco tempo si è riempita di buchi. La
ricercatrice si è messa subito in contatto con Paolo Bombelli e Christopher
Howe, del dipartimento di Biochimica dell’università di Cambridge e insieme
hanno programmato un esperimento. Un centinaio di larve sono state poste vicino
a una busta di plastica nella quale, già a distanza di 40 minuti, sono comparsi
i primi buchi.
A caccia di plastica
E c’è chi il suo impegno nella battaglia contro la plastica
lo mostra fuori dai laboratori. Sul campo, ossia negli oceani. Questo ha fatto
il giovane olandese, Boyan Slat, 24 anni, partito a settembre da San Francisco
dopo cinque anni di test per iniziare il suo viaggio verso l’Oceano Pacifico
all’assalto della Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti tra Hawaii e
California grande tre volte la Francia. Un assalto condotto con l’utilizzo di
sistemi di barriere galleggianti. Ocean Cleanup, così si chiama il progetto per
cui sono state raccolte donazioni per oltre 30 milioni di dollari, è stato
immaginato nel 2013 quando Slat aveva appena 18 anni. Ci hanno lavorato anche
due italiani, l’ingegnere Roberto Brambini e il biologo Francesco Ferrari. La
struttura è composta da un tubo lungo 600 metri e da un pannello flessibile che
raccoglie i frammenti di plastica sotto la superficie dell’acqua. Un enorme
Pac-Man.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Autore: Luisiana Gaita
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