giovedì 29 ottobre 2020

L’inibizione Biologica della Nitrificazione: una strategia di frontiera per la gestione dell’azoto nei suoli ed il contrasto ai cambiamenti climatici

 

Uno studio europeo, coordinato dal centro di ricerca Agricoltura e Ambiente del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), con la partecipazione delle Università di Vienna, Lione, Firenze, Padova, del Salento, del Netherlands Institute of Ecology (NIOO) e del Metabolomic Center di Vienna (VIME), ha evidenziato il ruolo cruciale di alcune piante nell’inibire il processo di nitrificazione attraverso un meccanismo noto come Inibizione Biologica della Nitrificazione (Biological Nitrification Inhibition - BNI).

 

La nitrificazione consiste nella trasformazione microbiologica dell’azoto ammoniacale del suolo e porta alla formazione di nitrati (NO3-) e protossido di azoto (N2O). Se da un lato i nitrati possono essere facilmente allontanati dal sistema suolo-pianta, causando inquinamento delle falde acquifere ed eutrofizzazione, dall’altro lato il N2O è un gas serra il cui potenziale di riscaldamento climatico è circa 300 volte maggiore quello dell’anidride carbonica. Su scala globale si stima che il 70% dell’azoto impiegato come fertilizzante (185 milioni di tonnellate di azoto/anno), non venga utilizzato dalle colture ma, dopo essere stato nitrificato, vada disperso nell’ambiente sotto forma di nitrati e gas serra, esacerbando problemi di inquinamento ambientale, riscaldamento globale e perdite economiche annue pari a circa 90 miliardi di dollari.

 

Una soluzione al problema potrebbe arrivare dall’Inibizione Biologica della Nitrificazione (Biological Nitrification Inhibition - BNI), un meccanismo attraverso il quale gli essudati radicali rilasciati da alcune piante inibiscono l’attività dei microrganismi nitrificanti (archaea e batteri). È quanto emerge dallo studio “Biological nitrification inhibition in the rhizosphere: determining interactions and impact on microbially mediated processes and potential applications”, coordinato da Pierfrancesco Nardi (CREA-Agricoltura e Ambiente) e pubblicato sulla prestigiosa rivista FEMS Microbiology Reviews (https://academic.oup.com/femsre). Integrando recenti scoperte effettuate nei campi della biologia strutturale, biochimica, genomica e proteomica dei microrganismi nitrificanti e nella metabolomica delle piante, lo studio fornisce un nuovo quadro teorico di riferimento, proponendo nuove ipotesi scientifiche relative ai meccanismi di azione degli essudati radicali sui microrganismi nitrificanti e suggerendo un approccio metodologico utile a studiare ed individuare piante con capacità BNI. Lo studio riporta inoltre una disamina dei più innovativi approcci analitici per lo studio dell’interazione tra essudati radicali e microrganismi nitrificanti, quali ad esempio la metabolomica e trascrittomica, l’impiego dell’isotopo dell’azoto 15N, le sonde isotopiche (SIP), la microscopia confocale a scansione laser, microscopia a trasmissione ed a scansione elettronica, che ha visto il contributo, tra gli altri, anche di Alessandra Trinchera del CREA Agricoltura e Ambiente.

 

Precedenti studi condotti da Pierfrancesco Nardi hanno dimostrato come gli essudati radicali di alcune varietà di riso, tra le principali risorse alimentari al mondo, e di sorgo riducono sia la quantità dei microorganismi nitrificanti che la loro l’attività. Altri studi hanno evidenziato come tale capacità sia presente in piante di brachiaria, utilizzata in aree tropicali per l’allevamento del bestiame, in varietà locali australiane di grano, nel girasole e in alcune brassicaceae.

 

A seguito della crescente domanda di cibo dovuta all’aumento della popolazione mondiale, si stima che l’utilizzo annuale di azoto in agricoltura raggiungerà quota 250 milioni di tonnellate nel 2050. Se non ci saranno miglioramenti nell’efficienza nell’uso dell’azoto, ingenti quantità di azoto verranno disperse nell’ambiente provocando un peggioramento della crisi climatica in corso. Riducendo l’attività nitrificante dei suoli e quindi la produzione di nitrati e di gas serra, l’Inibizione Biologica della Nitrificazione rappresenta una strategia di frontiera tesa a ridurre l’impatto ambientale della fertilizzazione azotata e a migliorare l’efficienza della nutrizione azotata delle colture. Associata ad altre tecniche di gestione dell’azoto, l’Inibizione Biologica della Nitrificazione può diventare un pilastro fondamentale di una nuova rivoluzione verde in grado di fornire all’agricoltura gli strumenti necessari per affrontare l’enorme sfida che l’attende: produrre più cibo in modo sostenibile.

 

Link dell’articolo: 

https://academic.oup.com/femsre/advance-article-abstract/doi/10.1093/femsre/fuaa037/5891426

 

Per informazioni contattare: 

pierfrancesco.nardi@crea.gov.it

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