venerdì 28 settembre 2018

L'ortofrutta fa pressing sul Governo


Oliato o no, l’ingranaggio ha ripreso a muoversi. Ieri al ministero delle Politiche agricole c’è stata la prima riunione dell’era Centinaio (o forse dovremmo dire Pesce, visto che è il sottosegretario ad avere la delega all’ortofrutta) per pianificare la futura politica ortofrutticola nazionale. Catasto, barriere fitosanitarie, export e apertura di nuovi mercati extra-Ue sono le priorità ripetute da un coro di voci in rappresentanza di una pletora di sigle di tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione.

“Vogliamo raccogliere tutti gli elementi che possono rafforzare il settore non in un momento di crisi, ma quando è possibile avviare una pianificazione strategica - ha detto Alessandra Pesce - Parliamo di un comparto che vale 11,6 miliardi e a cui è dedicata una specifica Organizzazione comune di mercato. Pertanto, dobbiamo lavorare per aumentare il livello di coesione all’interno della filiera e l’aggregazione dell’offerta, aumentando così la nostra propensione all’export. Per raggiungere questi obiettivi è necessario il contributo di tutti gli operatori, con una visione d’insieme”.


“Inutile dire che ci aspettiamo molto - ha esordito Vincenzo Falconi, direttore di Italia Ortofrutta Unione nazionale - Ora c’è la necessità di fare scelte strategiche e veloci, perché dobbiamo dare una regia politica e di sviluppo al settore. Ed è importante gettare le basi di una strategia nazionale, con un maggiore ruolo di coordinamento del Mipaaf”.

Dopo di lui, Davide Vernocchi, coordinatore Ortofrutta dell’Alleanza cooperative agroalimentari, ha ribadito l’importanza di interventi condivisi tra pubblico e privato per l’agognato catasto (indispensabile per la programmazione e la pianificazione delle produzioni), le barriere fitosanitarie e la razionalizzazione dei controlli.

Temi ripresi anche da Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, che ha ricordato come l’esportazione ortofrutticola italiana valga 5 miliardi di euro. “Certo – ha aggiunto – la Spagna ne fa quasi 13 e anche Olanda e Francia sono davanti a noi. E’ fondamentale, quindi, avere un riferimento nazionale con cui confrontarsi per avviare accordi bilaterali e le aperture di nuovi mercati di sbocco in grado di ricevere le eccellenze italiane”.

Lorena D’Annunzio, dirigente di Unaproa, ha parlato di sviluppo e, con il sostegno del ministero, di qualificazione del sistema associativo. Poi, di armonizzazione delle regole, inquadramento fiscale delle Op e biodiversità.

Fabio Massimo Pallottini, presidente di Italmercati, ha chiesto di non sottovalutare il ruolo dei mercati, perché strategici per i consumi di frutta e verdura “soprattutto per le potenzialità. La politica dovrebbe essere più attenta alle richieste e insicurezze del consumatore. Anche sul fronte prezzi”. Mentre Valentino Di Pisa, presidente di Fedagro Mercati, ha fatto esplicito riferimento agli “aspetti logistici, basilari in un’ottica di consumi interni dei prodotti freschi”.

Insomma, il primo giro di quella che il capo dipartimento Giuseppe Blasi ha definito “un’arena da cui organizzare il Tavolo” è stato piuttosto semplice, visto che la lettura delle criticità del settore trova quasi tutti d’accordo. Le cose probabilmente si complicheranno quando andranno individuate le soluzioni.
Entro dieci giorni il ministero, coinvolgendo le Regioni, manderà alla filiera una sintesi con una o due priorità da aggredire subito, in modo da predisporre la proposta tecnica del tavolo e avviare l’iter per il decreto. Ma “la prossima riunione è prevista entro due mesi”, ha concluso Blasi.
Fonte: Italiafruit News
Autore: Raffaella Quadretti

Uso di fertilizzanti, il Piemonte punta all'ottimizzazione


Siglato il protocollo d'intesa sulla disciplina dei nitrati dagli assessori Valmaggia e Ferrero per migliorare la qualità dei suoli, dell'acqua e dell'aria in regione.

Migliorare la qualità dell’aria, dei fiumi, dei laghi e delle falde in Piemonte ottimizzando l'uso dei fertilizzanti organici e chimici in agricoltura e diffondendo le buone pratiche. E' questo lo scopo del protocollo d'intesa sulla disciplina dei nitrati, firmato oggi dalla Regione Piemonte con istituzioni e agenzie ambientali e del mondo agricolo, che intende ridurre la presenza nell’ambiente dei composti dell’azoto, che servono a far crescere le piante e sono utilizzati in agricoltura per rendere i suoli più fertili.

Il provvedimento riguarda sia gli effluenti zootecnici, ovvero le deiezioni animali che specie in autunno determinano, attraverso gli spandimenti sui terreni agricoli, un peggioramento della qualità dell’aria, che i fertilizzanti chimici e il digestato.

Come spiegato da Alberto Valmaggia, assessore all’Ambiente della Regione Piemonte: "I nitrati in eccesso causano nei fiumi e nei laghi il fenomeno dell’eutrofizzazione, ovvero la crescita abnorme di alghe, mentre nelle falde creano le condizioni per richiedere costi più elevati nel trattamento delle acque potabili. Il protocollo tutela la salute e la biodiversità, in un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica”.

Oltre all’attuazione del Programma d’azione previsto dalla direttiva Nitrati, il protocollo prevede azioni di informazione, educazione e formazione tecnica, previsti anche dal Piano di tutela delle acque, in fase di revisione.

L’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, ha poi sottolineato i grandi progressi degli ultimi anni nel comparto primario e l'impegno comune profuso dai firmatari del documento, mentre Giovanni Toffoli, presidente di Federchimica Assofertilizzanti, ha evidenziato: "I fertilizzanti sono indispensabili per ottenere raccolti di qualità. Noi rappresentiamo le aziende che li producono e stimoliamo pratiche agricole corrette e sostenibili. Da sempre collaboriamo con le autorità che vigilano per il rispetto dell’ambiente".
Fonte: Regione Piemonte


Graduatoria Psr, il Tar dà ragione alle aziende agricole. Il Presidente Lacenere: “La Regione ha perso soldi e due anni”


“La Regione Puglia ha perso circa due anni di tempo e soldi in quantità”. E’ il commento del Presidente di Confagricoltura Bari/Bat, Michele Lacenere, alla luce della decisione del Tar Puglia che ha accolto la richiesta di sospensiva di alcune aziende agricole ricorrenti contro la graduatoria del bando 4.1A. Il Tribunale amministrativo ha rinviato al prossimo dicembre la discussione di merito sui ricorsi riguardanti il Psr accertando la “illogicità delle modalità di selezione delle domande”.

Dopo aver accumulato ritardi e speso poco dei fondi disponibili, l’operatività di uno dei più importanti strumenti atti a finanziare il settore agricolo per gli anni 2014-2020 è rinviata. Il Tar Puglia, infatti, considerato il “fumus” di fondatezza della domanda proposta dalle aziende escluse, ha sospeso la graduatoria regionale per l’assegnazione dei fondi Psr perché 3  aziende su 4 hanno usato parametri difformi da quelli che, oggi, la Regione ritiene validi. Il presidente della Regione Puglia, ieri, ha nonostante tutto espresso “soddisfazione perché il Tar Puglia ha sostanzialmente accolto la posizione dell’Avvocatura regionale e del dipartimento Agricoltura”.  “Io e il Presidente Emiliano – commenta il Presidente Lacenere – abbiamo letto due sentenze diverse, mi sono detto, devo cercare quella che ha letto lui, ma non l’ho trovata. Il Tar ha chiaramente indicato che – si legge nel dispositivo depositato ieri – il calcolo della media in questione sia stato verosimilmente alterato dalla mancata verifica preventiva dei dati contenuti nelle domande presentate e che la Regione dovrà considerare il valore di performance economica medio ricalcolandolo al netto di quelle per le quali dovesse essere confermata la non conformità dei dati. Da ciò che scrive il Tribunale amministrativo, quindi, si desume che la Regione ha perso circa due anni di tempo, e soldi in quantità, per finanziare un Ente che aveva il compito di mettere a punto un programma che permettesse delle istruttorie assolutamente automatizzate. Il problema, infatti, nasce da dal fatto che il famoso programma, che a tutti noi è parso troppo simile al precedente, messo a punto da Innovapuglia non ha permesso l’istruttoria automatica e ha lasciato agli estensori dei progetti massima discrezionalità nell’inserimento di dati che, oggi per ieri, la Regione indica incongrui e che, nella realtà, sono incongrui rispetto a non si sa cosa”.

Il perché lo spiega il Presidente Lacenere: “Il redattore del bando, infatti, ha dimenticato di indicare a quali riferimenti ci si dovesse rivolgere nella redazione dei piani di investimento, salvo oggi dire che sono dati logici e facilmente verificabili dovunque. Dove?”.  Il Tar, inoltre, dice che la Regione espletata l’istruttoria e i contraddittori, dovrà rielaborare i coefficienti incriminati. “A fronte di quest’obbligo – prosegue Lacenere – il Presidente Emiliano e l’assessore Di Gioia dichiarano che potranno iniziare a pagare le aziende corrette: probabilmente con i fondi del PSR 2038 potranno effettuare questa operazione. Perché considerato che la struttura regionale ci ha messo circa tre mesi per valutare un solo parametro di circa 600 aziende, possiamo calcolare che ci metterà non meno di tre anni per valutare tutti i parametri delle aziende in elenco e, soprattutto, non meno di venti per superare tutti i contenziosi che tali verifiche e calcoli potranno ingenerare”.

Confagricoltura Bari già nell’ottobre del 2017 consigliò cautela nel pubblicare la graduatoria. “Oggi – conclude Lacenere – consigliamo altrettanta cautela nel dare la stura ad un processo che, realmente, potrebbe determinare la fine dello sviluppo rurale in Puglia. L’assessore Di Gioia assuma su di se la responsabilità, che gli compete, di decretare la fine di un bando, in realtà di 5 bandi, costruito male e gestito peggio, valuti le possibilità di inserire di diritto in una nuova selezione le aziende a questo iscritte e, soprattutto, eviti di rigirare una frittata già bruciata”.

Fonte: Confagricoltura Bari

Agricoltura, i prodotti dimenticati valgono 10 miliardi


La stima è di Cia-Anabio: recuperare varietà animali e vegetali a rischio estinzione potrebbe generare per la gdo un giro d'affari pari al doppio di quello del turismo enogastronomico.

Sono considerate varietà dimenticate, ma i prodotti agricoli tradizionali come il cece nero della Murgia o il formaggio Rosa Camuna della Valcamonica hanno la potenzialità per creare valore aggiunto anche economico. Secondo stime elaborate dalla Cia con la sua associazione per l'agricoltura biologica Anabio e presentate in occasione del Salone del Gusto, infatti, le oltre mille specie vegetali e animali oggi a rischio estinzione, se recuperate attraverso filiere efficienti, competitive e a ridotto impatto ambientale, potrebbero valere almeno 10 miliardi di euro l'anno. Finora, spiegano dalla Cia, sono state "tagliate fuori dalla grande distribuzione alimentare perché ritenute poco attrattive per il mercato", mentre per l'associazione potrebbero dar vita a un giro d'affari doppio rispetto a quello del turismo enogastronomico, che in Italia muove 5 miliardi di euro all'anno.

Esistono già casi di successo, come la pesca tabacchiera, in passato scartata dalla grande distribuzione perché scomoda da sbucciare e comparsa invece negli ultimi anni nei reparti ortofrutta. Un'altra esperienza positiva è quella del grano Timilia tipico della Sicilia, sostituito per decenni da varietà più proteiche e ora tornato alla ribalta e apprezzato per i bassi livelli di glutine. Altre esperienze in corso, presentate da Cia e Anabio al Salone del gusto, sono quelle dell'allevamento biodinamico con razze locali di Raffaella Mellano (Piemonte), l'archeologia arborea per la salvaguardia dei frutti antichi di Isabella Dalla Ragione (Umbria) e la custodia e il rilancio dei grani antichi di Gea Turco (Sicilia).

Secondo le associazioni oggi servono maggiori risorse per tutelare il grande patrimonio di specie animali e vegetali italiano: gli operatori chiedono progetti di partenariato territoriali, e investimenti a favore di imprenditori che conservano e valorizzano la biodiversità agricola. Se infatti l'avanzata del cemento a scapito dei terreni coltivati e aree verdi procede in Italia al ritmo di 30 ettari al giorno, a rischiare di più sono i circa 5mila prodotti tradizionali che oggi, per i volumi ridotti, non rientrano tra quelli tutelati con i marchi Doc e Igp. Di questi, appunto, un migliaio è già a rischio scomparsa: la loro sopravvivenza per ora è legata alla passione di pochi "agricoltori custodi".

Autore: Veronica Ulivieri
Fonte: La Repubblica,it


giovedì 27 settembre 2018

Giuggiole: virtù benefiche e versatilità in cucina


Le giuggiole sono i frutti deliziosi di un albero appartenente alla famiglia delel Rhamnaceae. Erroneamente considerati da alcuni frutti dimenticati, originarie dell’Africa Settentrionale e della Siria, vantano infinite virtù terapeutiche.

Digestive, antiossidanti, sedative, contrastano l’azione nociva dei radicali liberi, esercitano un’azione leggermente lassativa contrastando la stitichezza, sono consigliate contro l’ipertensione.

Antinfiammatorie, antinfettive,  antiemorragiche, migliorano la circolazione sanguigna, rafforzano le ossa combattendo l’osteoporosi,  sono diuretiche, inibiscono la crescita delle cellule cancerose.

Ma non è  tutto: le giuggiole, che contengono 78 calorie ogni 100 grammi, potenziano il sistema immunitario e facilitano il processo di riparazionne cellulare, fungono da potenti antistress con effetto calmante sul sistema nervoso, attenuano l’ansia, rendono la pelle più giovane,  rappresentando un ottimo aiuto  in caso di arrossamento cutaneo, scottature, secchezza della pelle.Per un delizioso brodo di giuggiole fatto in casa occorrono: 1 kg di giuggiole, 2 grappoli di uva qualità Zibibbo,1 kg di zucchero, 2 mele cotogne, 2 bicchieri di vino rosso cabernet,  la buccia grattugiata di un limone,acqua q.b.

Lasciate appassire le giuggiole per un paio di giorni senza sbucciarle. Trascorso questo tempo, sbucciatele, mettetele in una pentola, copritele con l’acqua, unite l’uva sbucciata e privata dei semi fatta a pezzetti e lo zucchero e cuocete per un’ora a fuoco basso. Unite, a questo punto,  anche le mele sbucciate e fatte a pezzi piccoli, e il vino rosso a fuoco vivo per farlo evaporare. Quando il liquore si starà già addensando, unite la scorza del limone, portate a ebollizione fino a ottenere un composto cremoso Otterrete il brodo di giuggiole.  Passatelo con una garza da liquore, fatelo freddare e imbottigliatelo in bottiglie sterilizzate e a chiusura ermetica. Conservate in luogo fresco e buio.

A cura di Caterina Lenti