La base da cui partire è la qualità e la riconoscibilità di
un prodotto che va legato al territorio e alle stagioni. Su questa base
occorrerebbe costruire un impianto solido, fatto di educazione anzitutto, ma
anche regole, controlli e politiche di sviluppo che consentano a chi produce di
avere un minimo di guadagno.
Purtroppo da noi, almeno a sentire la voce degli
imprenditori, sembra essere rimasta solo la base. Il risultato è che,
nonostante i prezzi di frutta e verdura siano sempre più bassi, i consumi
continuano la loro caduta libera, raggiungendo, e forse superando, il minimo
storico da inizio secolo.
Sono cambiati i gusti
«Diciamo che la situazione è in mutamento, perché negli anni
cambiano i gusti, le possibilità di spendere, l'alimentazione. Senza dubbio la
generazione che ci ha preceduto è stata più fortunata, noi dobbiamo lavorare di
più anche fuori dal campo». A dirlo è Federica Trenti, imprenditrice under 40,
che conduce un piccolo frutteto nel bolognese, producendo essenzialmente pere,
ciliegie e prugne. Buona parte della frutta viene conferita in cooperativa, il
resto finisce al mercato ortofrutticolo. Di vendita diretta ancora non si
parla, la dimensione non lo permette. Però, anche se il rapporto con il
consumatore non è diretto, è lui la chiave di volta: «bisogna puntare sulla
qualità e sulla riconoscibilità. Io mi salvo perché faccio un prodotto di
nicchia, varietà europee di prugne, mentre oggi vanno per la maggiore le
cino-giapponesi. Il problema - prosegue - è che i gusti si sono uniformati. Chi
compra è abituato ad avere sulla tavola un sapore standard, però posso
assicurare che quando assaggia la mia frutta sente la differenza».
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