martedì 7 agosto 2018

Olivicoltura biologica superintensiva: una risposta ai mercati e alla Xylella


Negli anni ’90, in terra spagnola, presero piede le varie tecniche destinate alla coltivazione superintensiva di olivi. A distanza di più di 20 anni, l’olivicoltura superintensiva in Italia rappresenta lo 0,2% rispetto al totale degli oliveti presenti in tutta la nazione, mentre in Spagna rappresenta il 2%. 
Questi dati ci vengono forniti da Donato Miccolis, classe ’97, laureando in Scienze e Tecniche Agrarie, attualmente impegnato nel suo lavoro di tesi su “Gestione biologica del superintensivo” con specifico riferimento all’olivicoltura. Egli dunque approfondisce il superintensivo, ma nella sua gestione biologica e con un occhio ai mercati internazionali, a proposito dei quali dice: “Constatata l’elevata competitività da parte di Spagna, Tunisia, Grecia e Marocco e preso atto del valore sul mercato dell’olio EVO biologico, l’Italia potrebbe meglio competere investendo nella olivicoltura biologica superintensiva”. “La Puglia è la patria italiana dell’olio, eppure – precisa – nel suo territorio sono presenti meno di dieci aziende dedicate al superintensivo biologico”.
Investire su quanto detto non è proprio un azzardo, poiché la bassa vigoria delle cultivar del superintensivo comporta una produttività tempestiva: dopo 2/3 anni c’è già l’entrata in produzione con una stima di circa 4 tonnellate per ettaro, per poi raggiunge la decina dal quarto anno.
Se sorprende tanta tempestività, non meravigliano le quantità: gli impianti superintensivi prevedono poca distanza a separare gli alberi, la cui gestione della chioma li mantiene sostanzialmente piccoli per evitare che competano tra loro, anche solo ombreggiandosi l’un l’altro. Tale disposizione permette maggiore efficienza produttiva ed inoltre la meccanizzazione della raccolta mediante le scavallatrici: in 2 ore raccolgono quanto un uomo può in 18 ore, permettendo quindi una migliore gestione dei contoterzisti. In conclusione Miccolis ci lascia con un suggerimento: “Le cultivar del superintensivo risultano più resistenti alla Xylella, ormai alle porte di Locorotondo, indi per cui possono compensare la morìa di ulivi cui assistiamo, senza rinunciare, ma anzi incrementando la produttività del settore”. 



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