Semplificare l’Italia, cominciando dal vino. Mica facile. Ma
all’imprenditore Oscar Farinetti le imprese difficili piacciono. Così, oggi a
Eataly Roma, quando si troverà di fronte il ministro dell’Agricoltura, Mario
Catania, e i 200 migliori produttori italiani guidati da Angelo Gaja -
«chiamati a partecipare a un impegno, più che a un convegno» -, non si lascerà
sfuggire l’occasione per lanciare la sua ricetta: «Mettere da parte la giungla
di Doc, Docg, Dop e Igt che oggi tutelano e ingarbugliano i nostri prodotti e
introdurre un macrodisciplinare per il settore agroalimentare italiano composto
di tre sole voci: “no ogm”, “no concimi chimici” e “no diserbanti”».
Troppo facile? «Niente affatto - dice Farinetti -. La strada
l’ha indicata Carlo Petrini, quando ha tirato fuori dal cilindro lo slogan
«buono, pulito, giusto». Per anni abbiamo puntato sul «buono», facendo passi da
gigante. Ma oggi tutti danno per scontata la qualità e l’unico modo per
distinguerci è puntare sul “pulito”». Farinetti sogna un marchio tricolore come
quello della «pura lana vergine»: «Dal pomodoro alla mozzarella, dall’olio al vino,
dai formaggi ai salumi, se il prodotto ha il marchio in etichetta vuol dire che
è “pulito”. Pensate che impatto avrebbe sui consumatori di tutto il mondo e
quanto si arrabbierebbero i francesi per non averci pensato prima».
Dunque, l’Italia come un’isola verde e certificata. Non è
che l’Europa storcerebbe un po’ il naso? «Sicuramente, ma è la nostra unica
chance. D’altra parte, mica andiamo a rompere le scatole ai tedeschi su come si
devono fare le auto. Noi abbiamo questa ricchezza e la dobbiamo valorizzare,
puntando sull’orgoglio». L’alternativa? «Smetterla di lamentarci se l’export
agroalimentare fattura 30 miliardi di euro e quello dei finti prodotti ne
fattura 90. E rassegnarci a tenere in piedi 12 enti di controllo per il settore
vino, senza badare a spese e doppioni».
Ma non abbiamo scordato il «giusto»? «Se ci sono il buono e
il pulito - dice Farinetti - arriva di conseguenza: la ricchezza viene divisa
equamente tra gli attori della filiera, dall’allevatore o coltivatore, fino al
mercante e al consumatore». Il ministro è avvertito: la «rivoluzione
agroalimentare» potrebbe iniziare sorseggiando un calice di vino.
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