Peggiora il clima di fiducia delle imprese italiane, e anche
l’agricoltura non se la passa troppo bene. Nel mese di febbraio torna a
scendere il “sentiment” economico del tessuto industriale del Paese, ma anche
nelle campagne prevale il pessimismo sul futuro. Ora l’incertezza del “dopo
voto” non fa che accrescere questi timori. Lo afferma la Cia-Confederazione
italiana agricoltori, in merito ai dati diffusi dall’Istat.
Nel 2012 il settore primario ha perso 17mila imprese, che
sono crollate sotto il peso della crisi, dell’aumento dei costi e dell’assenza
di misure di sostegno adeguate e anche l’anno nuovo si è aperto con prospettive
“cupe”. Il fatto è che oggi il mondo agricolo è sotto pressione, schiacciato
prima di tutto dagli aumenti delle spese di produzione, che in un anno sono
salite molto di più dei prezzi praticati sui campi, vanificando di fatto ogni
possibile guadagno. Soltanto i costi energetici sono cresciuti nel 2012 del 7,9%
tendenziale, contro un incremento medio annuo dei prezzi dei prodotti agricoli
del 2,1%.
Ma il settore perde forza e vitalità anche per colpa
dell’Imu, con un aumento stimato di 130 milioni di euro solo per il gettito dei
terreni agricoli, mentre il “credit crunch” raggiunge livelli insostenibili,
con tre aziende su cinque che denunciano difficoltà enormi nell’accesso a
finanziamenti e prestiti. Perfino creare nuova occupazione diventa dispendioso
per gli imprenditori agricoli: in Italia le aliquote a carico del datore di
lavoro per l’assunzione di manodopera sono pari al 35% circa contro il 12% del
Regno Unito, il 13% della Francia o il 15,8% della Spagna.
È chiaro che tutto questo non aiuta a ritrovare fiducia
nelle prospettive del Paese e adesso la confusione del quadro politico post
elezioni, con il rischio di ingovernabilità, aumenta le preoccupazioni di
aziende e agricoltori. Per questo auspichiamo una soluzione condivisa che
permetta alla politica di rimettere al centro del dibattito la crisi dei settori
produttivi, a cominciare dall’agricoltura.
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