lunedì 3 giugno 2019

Serve una riforma sul costo del lavoro in agricoltura per aumentare la competitività


Costi di produzione elevati (e in crescita), difficoltà di reperire manodopera - soprattutto qualificata - e tanta, troppa, frammentazione: l’ortofrutta italiana continua a soffrire la bassa marginalità e non riesce a dare adeguato valore al prodotto, che spesso rimane imbrigliato nella logica del “sottocosto”. Il limitato differenziale tra oneri a monte della filiera e prezzi di mercato impone una riflessione affinché si possa inaugurare una nuova stagione, con l’aiuto indispensabile delle istituzioni, in grado di rilanciare il Made in Italy a partire dal mercato interno e dalla consapevolezza del consumatore.

Nel comparto agricolo italiano, il salario (dati 2018) varia fra i 7,2 e i 12,9 euro l'ora. In Spagna fra 5,1 e 7,7 euro/ora, in Marocco è di un euro l'ora. Le ore lavorative per settimana sono 39 in Italia, 44 in Spagna e 48 in Marocco.

E’ quanto emerso venerdì nel convegno: “Il fattore lavoro come elemento di competitività del settore” promosso da Italia Ortofrutta in occasione della sua assemblea annuale a Fico Eataly World (Bologna), che nel cinquantennale dell'Unione ha offerto svariati spunti d’interesse. I numeri del settore sono imponenti: con 13,5 miliardi di euro di valore della produzione ottenuta nel 2018, circa 900mila ettari di superficie e 346mila imprese, l’ortofrutta contribuisce alla creazione di un quarto del valore dell’agricoltura nazionale. L’Italia genera il 15% del totale del valore della produzione ortofrutticola dell’Unione europea, seconda sola alla Spagna (21%).

“La mancanza di redditività del settore ostacola gli investimenti in ricerca, sviluppo ed innovazione che sono alla base della competitività futura. È necessario quindi impostare delle scelte strategiche che intervengano per restituire valore e competitività del settore. Dobbiamo trasmettere ai consumatori il plus del prodotto nazionale e far comprendere che il benchmark dell’ortofrutta italiana non può essere il costo di produzione di un Paese extra europeo perché ci sarà sempre un sud del mondo che riesce a produrre a costi inferiori ai nostri”, la considerazione del direttore di Italia Ortofrutta.

Che fare, allora? “Servono un quadro normativo ad hoc per le grandi campagne di raccolta e per gestire i picchi di lavoro, una maggiore programmazione nell’utilizzo dei flussi di lavoro, incentivi per le aziende che assumono con continuità e un approccio bonus/malus per la contribuzione Inail”, la ricetta di Falconi. Che ha ricordato come negli ultimi cinque anni la manodopera comunitaria qualificata nei campi sia calata del 12%, attratta da altri lavori.

"Se al costo del lavoro della fase agricola si somma quello relativo alle operazioni di lavorazione e condizionamento in magazzino, emerge come circa il 40% del ricavo delle vendite di una organizzazione di produttori del settore ortofrutticolo (OP) sia destinato a remunerare il solo fattore lavoro. In queste condizioni, i prezzi di mercato non coprono i costi di produzione, certi e in aumento, molti dei quali incomprimibili come la manodopera".

Velardo ha concluso dicendo: "Alle istituzioni chiediamo di prendere piena coscienza di questo problema che attanaglia le nostre imprese e di mettere in atto percorsi di concreta semplificazione degli iter burocratici, purtroppo sempre più gravosi in fase di gestione della manodopera e di quella stagionale in particolare, e di favorire i percorsi di reclutamento e di formazione".

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