giovedì 6 settembre 2018

I ragazzi della cannabis legale hanno entusiasmo... e un po' paura


Gli imprenditori sono perlopiù tentenni. Dopo aver investito i propri risparmi e quelli dei genitori hanno voglia di lavorare la terra e di guadagnarsi il pane onestamente. Ma adesso che il nuovo Governo rischia di cambiare linea hanno il fiato sospeso.

Ad Amsterdam vendeva prodotti tipici pugliesi, con una laurea in Giurisprudenza in tasca e due soggiorni in Sudamerica alle spalle. Gli affari andavano bene fino a quando, dopo un paio d’anni, si è sentito dire “tu cosa fai qua, sei uno straniero, tornatene a casa tua”. Improvvisamente, Paolo, neanche trent’anni, ha sentito l’odore della campagna in cui è cresciuto, ha immaginato i trulli, la gente in giro per le piazze, gli amici e la famiglia. Ha rivisto nella mente la sua città immersa nella Murgia, le radici affondate nella familiarità e nella socievolezza di quel quadretto quotidiano del profondo Sud. Paolo ha sentito la nostalgia della terra, degli ulivi. Il sogno Amsterdam è svanito nel nulla. Ed è tornato a casa a progettare il suo futuro. E dalla metropoli che vive di cannabis e social club, ha deciso di tornare a casa proprio per coltivare la canapa.

Con un paio di amici e il sostegno della famiglia si sta rimettendo in gioco tornando alle origini agricole della sua terra natale. Vogliono aprire un’azienda agricola e sono andati a scuola di canapa. Si sono rivolti a Claudio, trent’anni anche lui, dal 2011 promotore della filiera della canapa. Dopo aver vinto il progetto Principi Attivi della giunta Vendola, con un finanziamento di 25mila euro a fondo perduto, Claudio Natile ha fondato CanaPuglia, associazione e impresa che della canapa fa il suo prodotto principale, nei suoi mille usi. Dai semi ai tessuti, dal biomattone ai prodotti alimentari, Claudio ha assistito alla crescita felice della pianta demonizzata dal nome “marijuana”.

Fino a oggi, CanaPuglia ha formato almeno 500 produttori e coltivatori, accompagnando il processo di espansione. Dai 400 ettari coltivati in Italia nel 2014 si è passati a oltre 4mila ettari. Nell’ultimo anno e mezzo sono un migliaio i negozi che vendono le infiorescenze light, quelle che hanno un contenuto di Thc legale, sotto lo 0,2%. Vengono vendute per uso cosiddetto tecnico o da collezione tra i 20 e i 25 euro al grammo, in bustine confezionate. Un giro d’affari di quaranta milioni di euro l’anno. A renderlo possibile la legge n. 242 del 2016 che contiene le “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” che ha disciplinato (pur in modo non troppo dettagliato) il settore. Un business che negli Stati Uniti permette ricavi da miliardi di dollari, considerato anche l’indotto. E che farebbe dell’Italia il ricchissimo Colorado, che con la canapa fa incassare al fisco 5 mln di dollari al mese. Sparsi nelle ventuno regioni italiane, si sono avvicinati al settore centinaia di trentenni, tutti attratti (a onor del vero) dal fascino ludico della pianta ma allo stesso tempo vicini al desiderio di un ritorno alla terra. Cosmesi, infusi, saponi, prodotti alimentari, tessuti, tutto si produce da ogni parte della canapa. Il maiale vegetale, lo chiamano. Non si butta niente. E se il Consiglio superiore della Sanità ha rilasciato un parere (non vincolante) negativo al Ministero della Salute, richiesto dall’ex ministro Lorenzin, d’altro canto i giovani, seppur preoccupati, non si fermano. E in questo sono sostenuti dalle maggiori associazioni di produttori, da Coldiretti, a Confagricoltura, e persino dal Codacons. Nel parere si legge che è sconsigliata la libera vendita di cannabis light perché, in ogni caso, produce effetti psicotropi su chi ne fa uso. Il Codacons rincara la dose replicando che anche alcol e fumo fanno male ma sono controllati e venduti dal monopolio di Stato. Finora il ministero del Governo gialloverde ancora tace e rimanda. Ma se si dovesse fare un passo indietro e opporre un veto in più, che fine farebbero il migliaio di negozi e le centinaia di produttori che hanno investito in canapa? Un investimento, quello degli shop, da almeno ventimila euro per imprenditore.

Del resto l’Italia non è nuova a questa coltivazione: negli anni Quaranta il Belpaese era il secondo produttore al mondo di canapa dopo la Russia, con i suoi 100mila ettari coltivati, con l’industria dei tessuti naturali che fluttuava nel benessere dell’economia nazionale. E lo ricorda bene la signora Giovanna, una sessantina d’anni, figlia di un canapicoltore proveniente dalla Campania, medaglia d’argento per la stessa produzione dopo l’Emilia Romagna. “Ricordo ancora quando pettinavamo la stoppa, seguendo i consigli della mamma – racconta Giovanna, ferma davanti allo stand di CanaPuglia allestito a Melpignano, in occasione della Notte della Taranta - per lei era più sano impegnarci nella cura della natura, della terra, piuttosto che lasciarci andare per strada, ciondolando, senza imparare nulla”. 

Autore: Cristina Laratro
Fonte: Radifuture Magazine


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